martedì 13 agosto 2013



RIASSUNTO "LA VITA FELICE" - SENECA- CLICCARE QUI



LA VITA FELICE 

Seneca

“Non dar peso alla fortuna, né quando s’avvicina né quando né timori”

“non aver desideri né timori”

“felice è chi vive contento del proprio stato“

“la virtù proceda per prima e porti le insegne; avremo ugualmente il piacere, ma ne saremo padroni e  regolatori”.

Niente felicità senza virtù

C’è un solo dovere: essere felici; e c’è una sola virtù: la giustizia.

Ma che cosa intende il filosofo per “felicità”. La conformità abituale dei pensieri e delle azioni alle leggi della natura.

Corpo e anima sono due soci che si comandano e s’obbediscono a vicenda.

La mia coscienza, non la vostra opinione, sarà la mia regola di vita; non dimenticherò che la mia patria è l’universo, vivrò e morrò senza paura perché avrò amato la virtù e non avrò nociuto né alla mia né all’altrui libertà.

Cerchiamo dunque ciò che è bene fare, non ciò che è fatto più frequentemente, quello che ci può mettere in possesso della felicità eterna, non quello che è approvato dal volgo, pessimo giudice della verità.

Vita felice è dunque quella che si accorda con la sua natura, e che si può raggiungere soltanto se lo spirito è, in primo luogo, sano e in perpetuo possesso di questa salute; in secondo luogo se è forte, vigoroso e inoltre particolarmente paziente e resistente a tutte le prove, sollecito delle cure del corpo, premuroso di procurarsi gli altri beni che allietano la vita, ma senza ammirarne alcuno, capace di fruire dei doni della fortuna, ma senza rendersene schiavo.

Da tutto questo deriva una perenne tranquillità e libertà, essendo stati rimossi i motivi di irritazione e di paura, ai godimenti fragili e meschini subentra una grande gioia, solida e inalterabile, e poi la pace, l’armonia dell’anima, l’elevazione unita alla debolezza, perché la cattiveria è effetto solo della debolezza.

E una forza invincibile dell’animo, sperimentata, calma nelle azioni, ricca di umanità e di attenzione per chi le sta attorno.

L’uomo felice, colui che coltiva l’onestà e si contenta della sola virtù, che non si lascia né esaltare né abbattere dalle alterne vicende della sorte, che non conosce bene maggiore di quello che egli può dare a se stesso, e per il quale il vero piacere consiste nel disprezzo dei piaceri.

La felicità consiste nell’avere uno spirito libero, fiero, intrepido e constante, lontano dal timore e dal desiderio, per il quelle l’unico bene è l’onestà, l’unico male il disonore, e tutto il resto è un vile ammasso di cose che nulla toglie e nulla aggiunge alla felicità, che va e viene senza accrescere o sminuire il sommo bene.

Un animo fondato su queste basi deve necessariamente, voglia o non voglia, provare una continua serenità e una gioia profonda che viene dall’intimo, perché gode di ciò che ha e non desidera nulla di più.

Fugate le paure dalla conoscenza del vero, proverai una gioia profonda e duratura, una bontà che allarga il cuore e allieta l’animo; e ne godrai non come doni esterni, ma come doti scaturite dall’intimo bene.

Può essere considerato felice colui che, grazie alla ragione, non ha né desideri né timori. E vero che anche le pietre e le bestie vivono senza timori e senza tristezza, ma non possiamo chiamarli felici, perché manca loro la consapevolezza della felicità.

Nessuno è felice se non ha sana la mente, e non può avere la mente sana chi cerca, invece del meglio, ciò che gli farà danno.

Felice è chi vive contento del proprio stato, qualunque esso sia, e apprezza quello che ha; felice è colui che affida alla ragione la gestione di tutta la sua vita.
Una mente retta non si volge mai indietro, non odia mai se stessa, nulla cambia della sua vita, che è la
migliore; il piacere, invece, cessa proprio quando diletta di più; e non ha molto spazio: perciò trascorre subito, viene a noia e si fiacca dopo il primo slancio. Così non può esserci alcuna consistenza in ciò che viene e va rapidamente, e si consuma nell’uso stesso.
Gli antichi ci hanno insegnato a seguire la via retta, non la più gradevole, in modo che il piacere sia non
guida, ma compagno della volontà buona. E la natura che bisogna avere come guida; è lei che la ragione consunta e segue.

Perciò vivere felicemente vuol dire vivere secondo natura. Ora ti dirò cosa ciò significhi: se conserveremo con cura e senza timore le nostre doti fisiche e le inclinazioni naturali, ricordandoci però che sono effimere e fugaci; se eviteremo di diventarne schiavi e non ci lasceremo soggiogare dalle cose esterne: se le casuali soddisfazioni del corpo saranno per noi come le milizie ausiliare e le truppe leggere per un esercito (devono servire, non comandare), solo così esse saranno utili al nostro spirito.
Non si lasci corrompere l’uomo, né dominare, dalle cose esterne, ma ammiri solo se stesso, si fidi del
proprio coraggio, sia pronto a ogni evenienza, artefice della propria vita. Le sue risoluzioni rimangano stabili, una volta prese, e i suoi principi incrollabili. Si comprende, anche se non lo aggiungo, che un uomo siffatto sarà equilibrato e ordinato, liberale e amabile in tutte le sue azioni.

Cerchi pure la ragione le impressioni suscitate dai sensi per prenderne gli spunti (non ha del resto altra via da cui partire e spingersi verso la verità), ma poi ritorni a se stessa. Infatti anche l’universo, che tutto abbraccia, e Dio, che guida il cosmo, sono sì volti verso l’esterno, ma poi da ogni parte rientrano nella loro essenza. Così deve fare anche il nostro spirito: quando, seguendo i sensi, e per il loro mezzo, si sarà volto verso i beni esterni, si mantenga padrone di questi e di se stesso.

Il sommo bene è la concordia dell’animo; le virtù saranno infatti là dove ci sono accordo e unità, la discordia starà coi vizi.

Anzitutto, non è per ottenere il piacere che si cerca la virtù; essa procura anche quello, ma non è lui il suo scopo principale benché, pur mirando ad altro, lo consegua.
In un campo, coltivato a grano possono nascere qua e là dei fiori; ma tanta fatica non è stata fatta per
questi pochi steli, che pure sono assai gradevoli. Così anche il piacere non è il premio né il movente della virtù, ma solo un corollario: non piace perché rallegra, ma , se piace, anche rallegra.

Il sommo bene sta nel giudizio stesso e nell’abito morale di una mente retta che, quando ha compiuto il suo corso si è fissata i suoi limiti, ha raggiunto la felicità e non chiede altro; perché non c’è nulla fuori del tutto, nulla oltre la fine.

Il sommo bene è la fermezza di un animo che non si spezza, è insieme previdenza, grandezza, salute
morale, libertà, armonia, bellezza. 
E affermo chiaro e tondo che questa vita che chiamo piacevoli, non la si può ottenere senza la virtù. 
La virtù ha un ben nobile compito: quello di assaggiare i piaceri! 
Il suo aspetto esteriore può dare luogo a equivoci e suscitare cattivi proposti. E come quando un uomo
forte si mette addosso abiti femminile; il tuo pudore sarà rimasto intatto, salva la tua virilità, non avrai 
prostituito il tuo corpo, però hai in mano un cembalo! 
Orsù dunque, la virtù faccia da guida e il nostro cammino sarà sicuro. Nella virtù non v’è da temere alcun eccesso, poichè essa possiede in sé la misura. Se vogliamo quell’unione che abbiamo detto, se ci piace andare verso la vita felice con questa compagnia, la virtù preceda e il piacere la segna.

Solo la virtù può salire fin lassù: i suoi passi superano quest’erta; e la virtù saprà resistere con coraggio e sopportare qualsiasi evento di buon grado e con pazienza, conscia che ogni difficoltà nella vita è legge di natura.

Chi si lamenta, piange e geme viene ugualmente forzato ad obbedire e, anche contro voglia, è costretto a fare quanto gli è imposto. Ma è una follia farsi trascinare anziché seguire di buon grado! Così come è stoltezza e ignoranza della propria condizione lamentarsi per qualcosa che ci manca o ci colpisce, o stupirsi e sdegnarsi per i guai che capitano ai buoni come ai cattivi: malattie, lutti, infermità, e tutte le altre avversità dell’esistenza umana.

Accettiamo dunque con serenità tutto ciò che per legge dell’universo ci tocca sopportare. Noi ci siamo impegnati a questo, a tollerare la nostra condizione mortale e a non turbarci per quanto non è in nostro potere evitare. Siamo nati in un regno: la libertà consiste nell’obbedire a Dio.

La vera felicità poggia dunque sulla virtù.

Nessuno ha mai condannato la sapienza alla povertà. Il filosofo potrà possedere grandi ricchezze che però non sono state rubate a nessuno, non sono macchiate di sangue altrui, non rappresentano il frutto di ingiustizia o di disonestà. Accumulane pure quante vuoi.

Il filosofo dunque non allontanerà da sé la generosità della sorte, e non si glorierà né arrossirà di un patrimonio onestamente acquisito.

Il sapiente non permetterà che nemmeno un soldo di cattiva provenienza varchi la soglia della sua casa; ma non escluderà e ripudierà anche grandi ricchezze, se sono un dono della fortuna o frutto della virtù. Il sapiente non ne farà ostentazione, ma nemmeno le nasconderà.

Poiché siamo d’accordo che le ricchezze è meglio possederle, state a sentire perché mi rifiuto di includerle fra i beni e mi comporto verso di esse diversamente da voi.

“Supponiamo che tutte le mie giornate trascorrano come le vorrei, aggiungendo nuove soddisfazioni alle antiche; non per questo avrò ragione di compiacermi. Inverti ora il segno della sorte; immagina che il mio animo sia dovunque colpito da avversità, lutti, sciagure, che non vi sia un’ora della quale non debba lagnarmi. Non mi considererò infelice perché mi trovo tra tante miserie, né maledirò le mie giornate; ho provveduto perché nessun giorno possa essere nero per me. E con ciò? Preferisco moderare le gioie che dominare i dolori”

Esercitiamo queste virtù frenando l’animo, per impedirgli di scivolare.

Venerate la virtù come una divinità e coloro che la professano dei sacerdoti.
“Io sono come uno scoglio solitario di fronte al mare, che le onde flagellano da ogni parte senza riuscire a smuoverlo e logorarlo nonostante l’assalto di secoli. Attaccatemi, datemi addosso, io vi vincerò sopportandoteli.”

Nota di Gavino Manca

Dialogo di Seneca; De Vita Beata datato 58 d.c. – grande attrazione provata verso il messaggio morale del filosofo romano, tanto vicino a quello cristiano, eppure autonomo nella sua genesi e nel suo sviluppo.
La responsabilità della persona nella ricerca della verità e delle scelte esistenziali; la libertà come capacità, attraverso la ragione, di non avere desideri né timori; la virtù fondata sull’armonia con le leggi di natura; la tranquilla disponibilità verso le alterne vicende della sorte; l’indifferenza al giudizio della “pazza folla”; e si potrebbe continuare a lungo.

Seneca dice “il sapiente non si ritiene indegno dei doni della sorte; non ama le ricchezze, ma preferisce averle; non le accoglie nell’animo, ma nella casa sì; non rifiuta quelle che ha, ma le domina e vuole che esse offrano maggiori possibilità alla sua virtù”; e ancora “ perché rifiutare loro un posto onorevole? Vengano
pure, saranno accolte. Il sapiente non ne farà ostentazione, ma nemmeno le nasconderà.